In occasione del Centenario dalla prima rappresentazione dell'Aida allo Sferisterio di Macerata (1921-2021), abbiamo chiesto al Prof. Marcello La Matina di accompagnarci in una rilettura dell'opera verdiana che aprirà il 23 luglio 2021 il Macerata Opera Festival. Il testo che trovate qui pubblicato è un estratto del contributo che il Professore ci ha inviato e che pubblicheremo in forma completa in formato cartaceo. 

Intanto, buona lettura e buon Festival a tutti!!

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(di Marcello La Matina) 

1. Prologo

La mia prima Aida fu quella palermitana del 1980, al Teatro Massimo. Ero molto giovane e studiavo composizione. Quell’anno venne a dirigere l’opera verdiana il giovanissimo Roberto Abbado, allora esordiente venticinquenne. Per me che passavo il tempo a compulsare le partiture dei grandi si profilava un’occasione memorabile per imparare qualcosa di vero della messa in scena. Volevo vedere tutto quel che faceva il direttore e per questo non v’era luogo migliore che la “piccionaia”, dove stazionavano gli appassionati della claque. Così, mi feci prendere nella claque e potei assistere a ben undici rappresentazioni.

L’esperienza di tutte queste recite fu per me magnifica e nuova. Tuttavia, sentivo che il suono delle esecuzioni non appagava la mia curiosità: esso era pulito, levigato, frutto di concertazioni sapienti. Io però volevo sapere come nasceva, dove prendeva forma. Decisi che dovevo ad ogni costo assistere anche alle prove d’orchestra. Il mio tentativo fu maldestro: mi scoprirono subito e mi cacciarono. Ma gli audaci hanno sempre una stella che li aiuta. Quell’anno studiavo privatamente con il maestro Girolamo Arrigo, che era il direttore artistico del Teatro Massimo. Gli confidai il mio desiderio ed egli, inaspettatamente, mi diede la chiave del suo palco personale. Seduto comodamente accanto all’orchestra, potei così osservare, prova dopo prova, la nascita di quel capolavoro: era come se Verdi stesse scrivendo la sua Aida in quegli stessi giorni sotto i miei occhi.

Una sera, alla fine della prova generale, il Maestro Arrigo mi avvicinò per chiedermi cosa ne pensassi. Non ricordo le parole, ma dovetti dire qualche cosa di stupido, perché subito dopo sentii il maestro dirmi «Aida non è un’opera equestre. Spesso lo si crede in buona fede, ma Aida è un’opera intima, dove tutto accade nello spazio dal quale il Potere si ritira. E questo spazio è il territorio di Amore». «Sì, Maestro, osservai, ma le parate, i costumi…». «Sono apparati del potere, funzionali alla manifestazione di una esteriorità che l’opera di Verdi costantemente si lascia sullo sfondo. Quel che conta non accade mai in mezzo ai carri e ai cavalli, ma nelle pieghe delle voci femminili». «E Radames?», osservai. Il Maestro Arrigo mi guardò con paziente benevolenza; e, mentre le strade di Palermo si tingevano dei colori e delle luci delle bancarelle serali, egli mi impartì la più bella lezione d’opera lirica che io avessi mai ricevuto fino a quel momento. Non ne ricordo le parole esatte, ma il senso l’ho custodito. 

2. L’Egitto, il Potere e Aida

Gli Egizi hanno elaborato una solida teoria del Potere, essi si sono votati e hanno votato le vite dei loro schiavi alla edificazione di una dimora per il Potere. Nessun popolo ebbe prima di loro un’idea così solenne e articolata del potere; che significava amministrazione, comando, esibizione simbolica, ma che privilegiava la dimensione temporale, la permanenza, l’eternità. Ecco perché erano ossessionati dalla morte, dall’aldilà e dalle liturgie del mondo dei morti. Il potere secondo gli Egizi consisteva soprattutto nella sua trasmissione, nel garantire questa trasmissione ad ogni costo.

Per questo in Egitto tutto funzionava come un immenso calendario cosmico, dove ogni evento era funzionale alla successione, alla trasmissione di questo potere. Perfino la morte era addomesticata, affinché propiziasse i viaggi nell’aldilà, mentre la terra e il cielo non erano che enormi viscere, dalle quali trarre segni e auspici di futura potenza. Il fiume Nilo, le piene, le fasi alterne della Luna, l’abbondanza del raccolto: tutto parlava di questa volontà di permanere. Anche la solennità della scrittura e la maestà dei templi erano funzionali a questa idea della regalità e della comunicazione, o, meglio, del Regno inteso come comunicazione. 

Tutto questo apparato “diacronico” è visibile nell’opera verdiana già dalle prime battute, attraverso la struttura concertante che sancisce e poi accompagna l’investitura di Radames, propiziata dalla dea Iside. Cielo e terra si toccano nella designazione del Capo militare, che impersona e attualizza il Potere nella sua eterna infaticabile comunicabilità.

E però, il Potere (in quanto dispositivo comunicativo) non cede quasi mai a qualcosa che gli assomiglia: non cede a un altro potere (che lo ingloberebbe, rimanendogli estraneo). Il potere non cede che a ciò che può vincerlo perché si presenta dissimile. Nell’Egitto di Aida, il potere si inchina – sia pure solo per un momento – davanti all’amore e alla gelosia di due donne che si fronteggiano in un ricamo lussureggiante di schermaglie a distanza.

Questo amore apre una finestra su un mondo complesso, quello femminile, non privo di potere ma irriducibile alla linearità del potere maschile. In Aida c’è l’amore che ognuna delle rivali, Amneris e Aida, coltiva per il guerriero Radames; e c’è anche l’odio, che si mette di traverso perfino ai rapporti istituzionali (padre/figlia, amante/amata). Così, in Aida, al grandioso mondo degli uomini, a questo immenso simulacro del potere, si contrappone non già un altro potere, ma una tormentata vicenda di amori, passioni, gelosie e invidie che lentamente avvelenano la logica della conquista militare e della sua traduzione in potere spendibile.

La comunicazione del potere si inceppa, la macchina sembra vacillare davanti al desiderio e alla sua declinazione femminile. L’asse ‘Amneris’ – ‘Aida’ traduce in un linguaggio intimista le trame e le geometrie del potere degli uomini. Da fuori, si vede il mondo come la gente comune deve vederlo; perché il potere deve essere visto nella sua potenza. Ma da dentro – cioè, nel canto solista, nelle voci che si alternano e si fronteggiano – quel che accade è il cuore della vicenda.

3. L’Egitto Verdiano

Quando Verdi scrive Aida, l’Egitto è diventato una vetrina di potenza coloniale e uno spettacolo. Frequentato da francesi, tedeschi e studiosi d’ogni parte, è il teatro di incredibili scoperte archeologiche. La scoperta della pietra di Rosetta, la decifrazione dei geroglifici ad opera di Champollion, gli scavi condotti con incredibile lena, sono le premesse alla fondazione del Museo Egizio del Cairo, voluto da Auguste Mariette, professore del Collège de France, incaricato di redigere il primo catalogo degli schizzi e degli appunti dei disegnatori di Champollion.

Conquistato dalla terra dei Faraoni, anche Mariette si imbarca per l’Egitto e nel giro di pochi anni porta alla luce enormi tesori. Nasce quell’enorme mausoleo che è il Museo Egizio del Cairo e prende forma tra gli europei colti quell’idea dell’antico Egitto che è ancora ben viva nel nostro immaginario. La trama di Aida, come è filologicamente accertato, viene proprio da un bozzetto di Auguste Mariette, rielaborato e messo in versi dal poeta Antonio Ghislanzoni a beneficio del musicista italiano. Verdi non aveva accettato di scrivere un’opera originale per l’occasione della apertura e della inaugurazione del Canale di Suez. Ma accettò l'incarico per l'inaugurazione del Teatro dell'Opera del Cairo nel 1871. L’idea presentava però non pochi problemi di ideazione e di realizzazione.

Primo fra tutti: che rapporto c’è tra l’Egitto degli archeologi e l’Egitto di Giuseppe Verdi? Di certo, il musicista italiano non era interessato a celebrare i fasti di quel “nuovo” Egitto. Le sue iniziali ritrosie verso il soggetto nascondono forse il timore di una strumentalizzazione della musica; di certo, gli diede fastidio che l’opera, alla sua prima rappresentazione nel 1871 avesse come spettatori soltanto dei personaggi politici e dei membri dell’establishment politico finanziario. Altre riserve si desumono dalla corrispondenza tra Verdi e l’editore Giulio Ricordi: alle raccomandazioni dell’editore di attenersi al profilo storico convenuto nel contratto, il musicista risponde con una certa noncuranza, quasi a voler significare che il pregio dell’opera non consisterà nel suo presunto realismo, quanto nella dinamica delle passioni che saprà muovere.  

Aida, dunque, opera intima, come aveva compreso il mio buon maestro Girolamo Arrigo. Al quale non dava punto fastidio (come direttore artistico) la mancanza di un palco girevole o di una scena sovranamente occupata da armigeri e cavalli; a patto che le voci fossero quelle giuste, che il contrappunto fosse preciso e i dialoghi ben scanditi: il compositore dettava la linea al Direttore artistico; come sempre dovrebbe essere.

4. Aida, prigioniera che imprigiona

Ma torniamo alla storia. Mentre la guerra minaccia la città degli uomini, l’amore per Radames minaccia la città delle donne, quel regno nel Regno che Amneris è chiamata a rappresentare. Il triangolo è la figura di questo conflitto tra due mondi: l’amore ufficiale, se così si può dire, l’amore legittimo, e l’amore infedele. L’opera di Verdi parla due linguaggi: se da un lato stimola lo spettatore a riconoscersi nella parata di gloria per la vittoria militare conseguita da Radames, dall’altro mina ogni certezza del guerriero “gloria dell’Egitto”, mostrandolo alfine preda (più che vincitore) della sua stessa conquista. Aida è la prigioniera che tiene prigioniero il suo conquistatore: questo il senso dell’opera.

Si comprende allora perché il maestro Arrigo vedesse nella macchina spettacolare un ausilio e un pericolo: un ausilio, se impiegata per far emergere il conflitto interno all’elemento maschile (“Egizio” Vs “Etiope”); un pericolo, se resa incapace di mostrare il conflitto tutto interno all’elemento femminile (“Amneris” Vs “Aida”).  Il movimento della trama esalta la dialettica tra sicurezza e pericolo. La guerra sembra essere il pericolo: essa introduce un rischio nella città degli uomini, minaccia la stabilità e chiede una coalizione di forze. La benevolenza, l’amore dell’Egitto – e di Amneris – per il soldato Radames sembrano offrire la risposta tranquillizzante che metterà fine all’ansia del conflitto.

Al contrario, sarà proprio l’amore a disunire, a minacciare il regno, destabilizzando quell’equilibrio che il conflitto aveva restaurato. L’amante Aida sarà alla fine sconfitta dal Regno, perderà la sua stessa vita, ma consegnerà all’eternità il suo amore per Radames e con lui accetterà di morire. In quest’opera, tuttavia, non vi sono in senso proprio né vinti né vincitori. A parte il linguaggio musicale, che Verdi riesce a modellare in un equilibrio perfetto tra lessico amoroso e gergo bellicoso, tra profumo di donna e odore di guerra.

Tanti anni sono trascorsi da allora e del mio buon maestro conservo tanti altri bei ricordi. Ma quell’Aida, vista alle prove, seguita in ben 11 rappresentazioni e poi commentata per le vie di Palermo con lui, resta ancora per me la rivelazione dell’enorme potere che la musica detiene su ogni altro elemento della scena. Perché è alla musica, infine, che spetta il compito di mostrare, o nascondere, l’interiorità che nessuna parola e nessun gesto possono additare.

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